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Far amare la sostenibilità, non solo rendicontarla.

2025-10-18 15:04

Norman Larocca

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Far amare la sostenibilità, non solo rendicontarla.

Dopo decenni di modelli calati dall’alto, è tempo di tornare a far amare la sostenibilità — con emozione, comunità e co-creazione.

Perché l’era della sostenibilità calata dall’alto deve lasciare spazio a passione, comunità e co-creazione.


Una catena infinita di modelli

Da oltre vent’anni seguo l’evoluzione della gestione e della rendicontazione della sostenibilità. E che percorso è stato.

Dalle prime politiche ambientali alla CSR, poi alla triple bottom line e ai bilanci di sostenibilità secondo gli standard GRI. Poi la ISO 26000, il “valore condiviso”, gli ESG e la tassonomia europea.
Ognuna di queste fasi ha promesso un modo migliore di misurare, comunicare e gestire la sostenibilità.

Sono diventate via via più sofisticate e precise — ma, in fondo, partono tutte dallo stesso presupposto: modelli imposti dall’alto, nati nelle stanze dei pensatori, degli accademici, dei politici, dei grandi consulenti o delle grandi imprese che competono per far adottare il proprio modello, e trarne così vantaggio.


Coinvolgimento degli stakeholder — o pura formalità?

Tutti questi modelli celebrano il “coinvolgimento degli stakeholder”. Ma, diciamolo: quante volte le voci delle comunità o dei dipendenti non apicali incidono davvero sulle decisioni di gestione?

Ricordo bene alcune riunioni del “Multistakeholder Forum on CSR” nel 2004. L’ascolto fu ampio, strutturato, promesso come rivoluzionario. E poi?
Quasi nulla. Lo stesso schema si ripete ancora oggi.


La tassonomia: un oggetto misterioso

Prendiamo la tassonomia europea — forse l’esempio più “alieno” di tutti.
Proviamo ad applicarla al modello di gestione di una PMI (ricordiamo: il 90% del tessuto produttivo europeo): sembra scritta su un altro pianeta, da extraterrestri, per un pubblico sconosciuto.

Sì, l’intento di creare un linguaggio comune è apprezzabile. Ma quanti, davvero, lo comprendono?


“Rischia di fare la fine dell’esperanto!”


La trasparenza non basta

Se l’obiettivo ultimo di tutto questo sistema è rendere il mondo un posto migliore — dove le imprese si comportano in modo etico e i consumatori si sentono rispettati — allora regole, tabelle e vincoli non bastano.

Serve far amare la sostenibilità, renderla familiare, desiderabile, far sì che le persone la pretendano.

Troppo spesso si sente dire: “facciamo sostenibilità perché la gente ce lo chiede”.
Forse era vero un tempo, e in parte lo è ancora oggi, ma con tutte queste norme e obblighi il sentimento collettivo sta cambiando — e parecchio.

Occorre agire subito, riportare la sostenibilità al cuore delle persone.
Perché solo attraverso sentimenti positivi come l’amore e la passione si cambiano davvero i comportamenti.
Le regole creano trasparenza, ma è l’amore che genera cambiamento.


Far innamorare del mare

È esattamente ciò che fa ogni anno il SEIF – Sea Essence International Festival.
Promosso dalla Fondazione Acqua dell’Elba, SEIF riunisce scienziati, artisti, cittadini, istituzioni e imprese intorno al mare — non come risorsa da sfruttare, ma come qualcosa da amare.

Celebra il Mediterraneo come connettore di comunità, generazioni e culture.
E così riesce in ciò che pochi modelli di sostenibilità ottengono: muove le emozioni, non solo i numeri.


Dall’imposizione alla co-creazione

Per costruire strategie di sostenibilità efficaci per il futuro, bisogna passare dall’imposizione alla co-costruzione.

La domanda chiave è semplice: cosa significa “sostenibilità” per una comunità?
Bisogna chiederlo, ascoltare, e agire di conseguenza.

È quello che ha fatto il progetto Elba 2035, un percorso partecipativo promosso da Acqua dell’Elba per immaginare un futuro sostenibile per l’isola.
Cittadini, scuole, associazioni e istituzioni hanno co-creato un “Manifesto per il Futuro” — dimostrando che la vera sostenibilità nasce da una visione condivisa, non da standard imposti.


L’onda delle B-Corp

Tra i modelli che riescono davvero a connettersi con le persone, spicca quello delle B-Corp.

Certificato da B Lab, il modello B-Corp riconosce le aziende che rispettano alti standard di performance sociale e ambientale, trasparenza e responsabilità.
A differenza di molte altre certificazioni, è concreto, misurabile e comprensibile anche per i consumatori.

Accanto ad esso c’è la Società Benefit: una forma giuridica che inserisce negli obiettivi statutari il perseguimento di un beneficio comune.
È una piccola rivoluzione — e ancora troppo sottovalutata.

Un esempio è proprio Acqua dell’Elba, che nel 2021 è diventata Società Benefit, integrando la crescita economica con l’impegno verso la comunità e il mare.


Non perfetto, ma promettente

Naturalmente, non tutto ciò che nasce “dal basso” è automaticamente buono.
Anche il modello B-Corp ha i suoi limiti: la certificazione può essere costosa e complessa, e alcuni critici sostengono che le grandi aziende riescano a “giocare con le regole”.

Ma se integrato con altri strumenti, come le classiche certificazioni ESG, può diventare un percorso solido e credibile.

È un modello semplice, comprensibile, già apprezzato dai consumatori — e nasce, almeno in parte, dal basso.


L’epoca della sostenibilità calata dall’alto è finita.
È il momento di tornare a farla amare.